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domenica 2 dicembre 2007

Ingrid Betancourt

La lettura della lettera di Ingrid Betancourt, prigioniera da ormai cinque anni dei guerriglieri del FARC (Fuerzas Armadas Rivolucionarias de Colombia), sul giornale di oggi mi ha profondamente toccato. So che la famiglia ha criticato la decisione delle autorità colombiane di rendere pubblico questo testo, fatto uscire dalla giungla come prova che l'ostaggio è ancora in vita, ma innanzi tutto scritto intimo della Betancourt per i propri cari. Tuttavia ho scelto di riportarla quasi integralmente nel blog perché sento che in essa brilla, trapassando le nebbie del dolore, una grande testimonianza di fede. Una fede non conseguenza della sofferenza bensì forte bastone su cui puntellarsi per contrastare il peso della sofferenza. Chi ha fede non teme la morte, ma certamente soffre come tutti all'idea di dover lasciare sole, sia pure temporaneamente, le persone che ama e la amano. Perciò prego che Ingrid Betancourt possa tornare presto libera. E la sua stessa lettera è una preghiera accorata di una donna che ringrazia Dio del dono prezioso della vita, mentre è prigioniera di uomini che - se fossero coscienti di tale dono - comprenderebbero che nessun fine può giustificare i loro mezzi.
La commozione e l'indignazione suscitata dalla vicenda di Ingrid si estende naturalmente a tutte le persone private con la forza del primo diritto dell'essere umano: la libertà.
È un momento molto difficile per me. Chiedono le prove che sono viva e ti apro l'animo in questo scritto. Fisicamente sto male. Non mangio, non ho fame, mi cadono molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che sia la cosa migliore che possa capitare, non aver voglia di niente, perché qui, in questa giungla, l'unica risposta a qualunque richiesta è «no». Dunque, è meglio non avere voglia di nulla ed essere almeno libera dai desideri. Sono ormai 3 anni che chiedo un dizionario enciclopedico per poter leggere qualcosa, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che, almeno per compassione, me ne procurino uno, ma è meglio non pensarci. Ogni cosa è un miracolo, anche ascoltarti ogni mattina, dato che la radio che ho è vecchia e mal funzionante. Voglio chiederti, mamma cara, di dire ai ragazzi di mandarmi tre messaggi alla settimana. Niente di speciale, se questo è anche il loro desiderio e se avranno voglia di farlo. Non ho bisogno d'altro se non di essere in contatto con loro. È la sola informazione vitale, essenziale, indispensabile, il resto non mi interessa più. Come ti dicevo, la vita qui non è vita, è un lugubre spreco di tempo. Vivo, o meglio, sopravvivo in un'amaca tesa tra due pioli, ricoperta da una zanzariera e con sopra una tenda che funge da tetto e che mi consente di pensare di avere una casa. Possiedo una mensola dove appoggio le mie cose, vale a dire lo zaino che contiene i miei abiti e la Bibbia, che rappresenta il mio unico lusso. È tutto pronto per una partenza improvvisa. Qui nulla è certo, nulla è duraturo, l'incertezza e la precarietà sono la sola costante. In ogni momento possono dare l'ordine di prepararsi [a partire], e ciascuno deve dormire in una buca qualsiasi, sdraiato non importa dove, come un animale. Ho le mani sudate e la mente annebbiata, finisco per fare le cose molto più lentamente del normale. Le marce sono per me un calvario perché il mio equipaggiamento è molto pesante e non riesco a sostenerlo. Ma tutto è stressante, perdo le cose o me le sottraggono, come i jeans che Mélanie (è la figlia, ndr) mi aveva regalato a Natale e che avevo addosso quando mi hanno preso. L'unica cosa che sono riuscita a conservare è la giacca e questa è stata davvero una benedizione, poiché le notti sono gelide e non ho altro per coprirmi. Prima, approfittavo di ogni occasione per fare un bagno nel fiume. Dato che sono la sola donna del gruppo, lo devo fare quasi completamente vestita: pantaloncini, camicia e stivali. Prima mi piaceva nuotare nel fiume, ma adesso non ne ho più neppure la forza. Sono debole, sembro un gatto davanti all'acqua. Io che amavo tanto l'acqua, non mi riconosco più. Ma da quando hanno separato i gruppi, non ho più avuto né l'interesse né l'energia di fare nulla. Faccio soltanto qualche esercizio di stiramento, dato che lo stress mi blocca il collo, che mi fa molto male. Grazie a questi esercizi, riesco a muoverlo un po'. Preferisco restare in silenzio, parlo il meno possibile per evitare problemi. La presenza di una donna in mezzo a tanti prigionieri maschi che si trovano in questa situazione da otto o dieci anni, è un problema. Durante le ispezioni, ci sottraggono le cose che ci sono più care. Una tua lettera, mi è stata sottratta dopo l'ultima prova di sopravvivenza, nel 2003. I disegni di Anastasia e di Stanislas (nipoti di Ingrid, ndr), le fotografie di Mélanie e Lorenzo (i due figli, ndr), una medaglietta di mio padre, un programma di governo in 190 punti, mi hanno preso tutto. Ogni giorno perdo qualcosa di me stessa. Certi particolari ti sono stati raccontati da Pinchao (soldato prigioniero delle Farc fuggito quest'estate, ndr). Tutto è difficile. È importante che io dedichi queste righe alle persone che rappresentano il mio ossigeno, la mia vita. A quelli che mi tengono viva, che non mi lasciano affondare nell'oblio, nel nulla e nella disperazione. Tu, i miei figli, Astrid (la sorella, ndr) e i bambini, Fab (l'ex marito Fabrice Delloye, ndr), Tata Nancy e Janqui (Juan Carlos Lecompte, suo marito, ndr). Ogni giorno, sono in contatto con Dio, con Gesù e con la Vergine. Qui tutto ha due volti, la gioia segue ogni volta il dolore. La gioia è triste. L'amore cura e allo stesso tempo apre nuove ferite, è come vivere e morire di nuovo ogni volta. Nel corso degli anni non ho potuto pensare ai ragazzi e il dolore per la morte di papà ha assorbito tutta la mia capacità di resistenza. Piangevo pensando a loro, mi sentivo soffocare, incapace di respirare. Dentro di me, dicevo: «Fab è là, vede tutto, non è necessario preoccuparsene e nemmeno pensarci». Sono quasi impazzita a causa della morte di mio padre. Non ho mai saputo come sia accaduto, chi c'era, se mi ha lasciato un messaggio, una lettera, una benedizione. Ma ciò che ha dato sollievo al mio tormento è stato il pensiero che egli è morto nella fede in Dio e che lo ritroverò lassù e lo prenderò tra le braccia. Sono certa di questo. Ascoltarti è stata la mia forza. Tengo a mente l'età di ciascuno dei miei figli. Ad ogni compleanno canto loro Happy Birthday. Chiedo ogni anno di poter preparare un dolce. Ma da tre anni a questa parte, ogni volta che lo chiedo, la risposta è «no». E lo stesso: che mi diano un biscotto o un piatto di riso e fagioli, come succede di solito, immagino che sia una torta e, nel mio cuore, festeggio il loro compleanno. Alla mia Melelinga [Mélanie], mio sole di primavera, mia principessa della costellazione del cigno, a lei che amo tanto, desidero dire che sono la madre più orgogliosa di questa terra. E se dovessi morire oggi stesso, me ne andrei soddisfatta della vita, ringraziando Dio per i miei figli. Mélanie, ti ho sempre detto che sei la migliore, molto migliore di me, una specie di versione perfezionata di ciò che io avrei voluto essere. È per questo, con l'esperienza che ho accumulato nella vita e nella prospettiva che mi offre il mondo visto a distanza, che ti chiedo, amore mio, di prepararti per raggiungere le mete più alte. Al mio Lorenzo, al mio Loli Pop, il mio angelo della luce, il mio re dagli occhi azzurri, il mio musicista che canta e mi incanta, al signore del mio cuore, voglio dire che dal giorno in cui è nato e fino ad oggi è stato la fonte delle mie gioie. L' altro giorno, ho ritagliato una fotografia da un giornale arrivato per caso. E una pubblicità di un profumo di Carolina Herrera «212 Sexy men». Si vede un uomo giovane e mi sono detta: il mio Lorenzo deve essere così. E l'ho conservato. Mamita (mammina), ci sono tante persone che voglio ringraziare per il fatto di ricordarsi di noi, per non averci abbandonato. Per un lungo periodo, siamo stati come i lebbrosi che rovinano la festa. Noi, i sequestrati, non siamo un tema «politicamente corretto», suona meglio dire che bisogna affrontare con fermezza la guerriglia, anche se dovesse costare il sacrificio di vite umane. Di fronte a ciò, il silenzio. Solo il tempo può aprire le coscienze ed elevare gli spiriti. (...) Bene, Mamita, che Dio ci aiuti, ci guidi, ci dia la pazienza e ci protegga per sempre e addio.
(traduzione di Antonella Cesarini)
Consiglio di leggere anche il commento scritto su La Repubblica di oggi da Francesco Merlo. Ma per capire bene il senso delle parole di Francesco Merlo si deve anche vedere il video girato dal gruppo di guerriglieri che tiene in ostaggio la Betancourt.

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